Li ho visti partire domenico sera per Roma: i miei ragazzi. Pieni di
gioia, con le loro chitarre e gli zaini con il sacco a pelo.
Era
da un po’ di tempo che non andavo a salutare qualcuno che partiva per un
lungo viaggio: mi sono ritornati di colpo alla mente le partenze per i
campeggi con i giovani, trent’anni fa. Qui ci sono già i loro figli. Mi
sono ritornate in mente le lacrime delle mamme, le raccomandazioni,
quelle valigie tutte ben in ordine alla partenza e invece impossibili da
chiudere al ritorno
Domenica sera avevo il cuore immagoriato
anch’io. «Don non parti?..»: che fastidio quella domanda impertinente.
No, non portivo. E da un po’ di anni che non parto quando loro invece se
ne vanno: gli anni, gli acciacchi ed anche un po’ di vigliaccheria, se
vogliamo chiamarla così.
I giovani sono incontenibili, tirano
tardi la sera, non stanno alle regole, non hanno puntuaiitd, si adattano
a qualunque cosa. Mi sentivo come un padre che non può rincorrere i
figli che ormai sono cresciuti. A competere con loro c’è da scoppiare o
da farli morire dai ridere. A pretendere che si adeguino ai tuoi ritmi
vuoi dire rovinargli la festa.
C’era una atmosfera
particolare quella domenica sera per noi della parrocchia: avevamo di
fatto ospitato una ventina di giovani jugoslavi pellegrini per Roma. I
miei ragazzi erano stati in gamba: sempre vicini, sempre disponibili,
mai arrabbiati.
Io che li vedevo tante volte incupiti, annoiati,
rissosi, in quei quattro giorni me li trovavo diversi e trasformati. Era
la “Giornata mondiale della gioventù”? Boh! sì, c’era tutta la
curiosità di giovani che “annusano” altri giovani così lontani e diversi
per cultura, lingua, tradizioni... Cera quella sottile complicità di
maschi e femmine che sentono in modo straordinario la voglia di
comunicare. Ma c’era la sorpresa di scoprire che i giovani sono tutti
uguali sotto tutte le latitudini: allegri e improvvisamente tristi,
caciaroni e scatenati e silenziosi e contemplativi.
Che bello
sentire che questi ragazzi ti erano cresciuti sotto gli occhi: erano
bambini dieci anni fa e te li trovavi giovani: A volte indisponenti con i
loro caratteri così difficili ed imprevedibili ma così amabili quando
la loro vita prende va il senso giusto!
I soliti ritardatari -
Mariella, Andrea - eppure puntuali questa domenica della partenza:
abbracci e baci con i genitori, con gli amici jugoslavi - le ultime
fotografie come a fissare sulla pellicola quattro giorni straordinari. E
io me lì mangiavo con gli occhi; trepidavo per loro, li vedevo già
nelle piazze di Roma con migliaia di altri giovani come loro a cantare e
a danzare la gioia di vivere. Li guardavo con quel loro "fare" forte e
fragile insieme e mi chiedevo se avrebbero incontrato la Persona di cui
avevo parlato loro tante volte in questi anni. «Quando attraversi la
Porta Santa ricordati di dire al Signore che ti chiami..» grido ridendo a
Simone: è un nostro tacito patto. E quelle due o tre coppiette:
capiranno a Roma che oltre gli strusci di V. Roma o i baci rubati negli
angoli dei giardini c’è un Maestro di amore che potrebbe insegnargli
tante cose?
Scoprivo che avevo tante cose da dire, uno ad uno,
e non gliele avevo ancora dette: o gliele avevo dette, ma le avevano
capite? Come comprendevo i papà e le mamme che dicevano per l’ennesima
volta che dovevano telefonare, che dovevano prendere le, medicine, che
non dovevano mai uscire da sole (soprattutto le ragazze). Anch ‘io avrei
voluto dire loro le cose che sognavo e desideravo per loro. Che avrei
voluto che mi ritornassero migliori di quando erano partiti!
«Ma
tu sei mica loro padre!...»: mi tirò con i piedi per terra il solito
papà che sa tutto. «Noi, sì, che siamo papà e dobbiamo preoccuparci!».
Che fortuna, mi hanno detto tante volte, essere preti: non hai la
preoccupazione per i figli. Alla sera chiudi l’oratorio e te ne vai a
dormire.
Alle diciotto del giorno di ferragosto il Papa saluta
i giovani arrivati a Roma. Ci sono anche i miei ragazzi: apro la
televisione - collegamento con Piazza S. Giovanni - ci sono loro. Suona
la Messa nella mia chiesa: dovrei andare a celebrare. Li cerco sullo
schermo. C’è Alba, c’è Pozzuoli: e Casale? Me li immagino con i loro
fazzoletti e le loro bandane, a cantare e a gridare al Papa, Padre ed
amico. Quasi mi scappo di gridare anch’io. Quando torno dopo la Messa
sono ancora li, in piazza S. Pietro, a cantare e a pregare: e mi trovo a
piangere quando vedo quei giovani e quelle ragazze che si rifugiano tra
le braccia del vecchio Papa e mi vedo i miei ragazzi e penso alla
fortuna che hanno di essere testimoni dal vivo di cose così belle e
quasi li invidio come un qualsiasi papà che vede e quasi invidia i figli
cresciuti che ridono, piangono, si innamorano e gioiscono! Scomodo
paternità nascosta, la mia, che però ti aiuta a continuare a lottare ed a
lavorare nel Regno di Dio e a dare la vita per le persone che ami.
don Gigi Gavazza
(da “Boomerang – GMG 2000”, settembre 2000)
* "Boomerang" è stato il giornalino dell'oratorio dell'Addolorata dal 1996 al 2003
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