venerdì 4 febbraio 2011

QUESTA SCOMODA PATERNITÀ

Li ho visti partire domenico sera per Roma: i miei ragazzi. Pieni di gioia, con le loro chitarre e gli zaini con il sacco a pelo.
Era da un po’ di tempo che non andavo a salutare qualcuno che partiva per un lungo viaggio: mi sono ritornati di colpo alla mente le partenze per i campeggi con i giovani, trent’anni fa. Qui ci sono già i loro figli. Mi sono ritornate in mente le lacrime delle mamme, le raccomandazioni, quelle valigie tutte ben in ordine alla partenza e invece impossibili da chiudere al ritorno
Domenica sera avevo il cuore immagoriato anch’io. «Don non parti?..»: che fastidio quella domanda impertinente. No, non portivo. E da un po’ di anni che non parto quando loro invece se ne vanno: gli anni, gli acciacchi ed anche un po’ di vigliaccheria, se vogliamo chiamarla così.
I giovani sono incontenibili, tirano tardi la sera, non stanno alle regole, non hanno puntuaiitd, si adattano a qualunque cosa. Mi sentivo come un padre che non può rincorrere i figli che ormai sono cresciuti. A competere con loro c’è da scoppiare o da farli morire dai ridere. A pretendere che si adeguino ai tuoi ritmi vuoi dire rovinargli la festa.
C’era una atmosfera particolare quella domenica sera per noi della parrocchia: avevamo di fatto ospitato una ventina di giovani jugoslavi pellegrini per Roma. I miei ragazzi erano stati in gamba: sempre vicini, sempre disponibili, mai arrabbiati.
Io che li vedevo tante volte incupiti, annoiati, rissosi, in quei quattro giorni me li trovavo diversi e trasformati. Era la “Giornata mondiale della gioventù”? Boh! sì, c’era tutta la curiosità di giovani che “annusano” altri giovani così lontani e diversi per cultura, lingua, tradizioni... Cera quella sottile complicità di maschi e femmine che sentono in modo straordinario la voglia di comunicare. Ma c’era la sorpresa di scoprire che i giovani sono tutti uguali sotto tutte le latitudini: allegri e improvvisamente tristi, caciaroni e scatenati e silenziosi e contemplativi.
Che bello sentire che questi ragazzi ti erano cresciuti sotto gli occhi: erano bambini dieci anni fa e te li trovavi giovani: A volte indisponenti con i loro caratteri così difficili ed imprevedibili ma così amabili quando la loro vita prende va il senso giusto!
I soliti ritardatari - Mariella, Andrea - eppure puntuali questa domenica della partenza: abbracci e baci con i genitori, con gli amici jugoslavi - le ultime fotografie come a fissare sulla pellicola quattro giorni straordinari. E io me lì mangiavo con gli occhi; trepidavo per loro, li vedevo già nelle piazze di Roma con migliaia di altri giovani come loro a cantare e a danzare la gioia di vivere. Li guardavo con quel loro "fare" forte e fragile insieme e mi chiedevo se avrebbero incontrato la Persona di cui avevo parlato loro tante volte in questi anni. «Quando attraversi la Porta Santa ricordati di dire al Signore che ti chiami..» grido ridendo a Simone: è un nostro tacito patto. E quelle due o tre coppiette: capiranno a Roma che oltre gli strusci di V. Roma o i baci rubati negli angoli dei giardini c’è un Maestro di amore che potrebbe insegnargli tante cose?
Scoprivo che avevo tante cose da dire, uno ad uno, e non gliele avevo ancora dette: o gliele avevo dette, ma le avevano capite? Come comprendevo i papà e le mamme che dicevano per l’ennesima volta che dovevano telefonare, che dovevano prendere le, medicine, che non dovevano mai uscire da sole (soprattutto le ragazze). Anch ‘io avrei voluto dire loro le cose che sognavo e desideravo per loro. Che avrei voluto che mi ritornassero migliori di quando erano partiti!
«Ma tu sei mica loro padre!...»: mi tirò con i piedi per terra il solito papà che sa tutto. «Noi, sì, che siamo papà e dobbiamo preoccuparci!». Che fortuna, mi hanno detto tante volte, essere preti: non hai la preoccupazione per i figli. Alla sera chiudi l’oratorio e te ne vai a dormire.
Alle diciotto del giorno di ferragosto il Papa saluta i giovani arrivati a Roma. Ci sono anche i miei ragazzi: apro la televisione - collegamento con Piazza S. Giovanni - ci sono loro. Suona la Messa nella mia chiesa: dovrei andare a celebrare. Li cerco sullo schermo. C’è Alba, c’è Pozzuoli: e Casale? Me li immagino con i loro fazzoletti e le loro bandane, a cantare e a gridare al Papa, Padre ed amico. Quasi mi scappo di gridare anch’io. Quando torno dopo la Messa sono ancora li, in piazza S. Pietro, a cantare e a pregare: e mi trovo a piangere quando vedo quei giovani e quelle ragazze che si rifugiano tra le braccia del vecchio Papa e mi vedo i miei ragazzi e penso alla fortuna che hanno di essere testimoni dal vivo di cose così belle e quasi li invidio come un qualsiasi papà che vede e quasi invidia i figli cresciuti che ridono, piangono, si innamorano e gioiscono! Scomodo paternità nascosta, la mia, che però ti aiuta a continuare a lottare ed a lavorare nel Regno di Dio e a dare la vita per le persone che ami.

don Gigi Gavazza

(da “Boomerang – GMG 2000”, settembre 2000)
* "Boomerang" è stato il giornalino dell'oratorio dell'Addolorata dal 1996 al 2003

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